E’ reato versare in ritardo l’assegno di mantenimento e la paghetta al figlio

L’adempimento degli obblighi di natura famigliare tra i quali rientra l’assegno di mantenimento per l’ex coniuge, in molti casi non viene adempiuto e diviene necessario l’intervento della Suprema Corte di Cassazione.

Proprio con riguardo a tale doglianza, sono nuovamente intervenuti gli ermellini nella VI sez. penale con sentenza n. 20133 del 14/05/2015.

La Suprema Corte ha specificato che gli obblighi di mantenimento non vengono meno con lo scioglimento del matrimonio e l’assegno deve essere corrisposto puntualmente e nel quantum stabilito dal giudice. Non costituisce una scriminante il fatto che il mancato versamento sia solo sporadico o che sia corrisposto un assegno quasi integrale.

In tali casi, infatti, scatta l’articolo 570 c.p., il reato di violazione degli obblighi di assistenza famigliare, punibile con la reclusione fino a un anno o con la multa da euro 103 fino a 1.032 euro.

Disoccupazione e assegno di mantenimento

Nel caso in cui sia eccepita la disoccupazione del coniuge, essa non è sufficiente ad escludere la configurabilità di tale reato, a meno che non si dimostri che si tratti di una disoccupazione effettiva e non solo formale, tale da impedire di poter dare qualsiasi forma di sostentamento all’ex coniuge.

Rileva anche se l’oberato può godere di introiti economici da parte di genitori o parenti, entrate economiche che potrebbero permettere di adempiere al proprio obbligo di natura famigliare.

Affinché si configuri il reato di violazione degli obblighi di assistenza famigliare, inoltre, deve essere presente l’elemento psicologico di inottemperare, attraverso il quale il soggetto volontariamente decida di non inviare il mantenimento, come stabilito dalla Corte di Cassazione, VI sez. penale n. 43527/2012.

Il figlio può pretendere la paghetta settimanale? rientra nel mantenimento ?

La paghetta, ovvero una somma di denaro variabile che viene corrisposta periodicamente dai genitori ai figli, è in genere una consuetudine abbastanza diffusa in Italia. Questa piccola somma di denaro consente ai figli di poter organizzare la propria vita e le proprie attività in maniera indipendente, nel momento in cui a causa dell’età e degli studi non hanno ancora una occupazione lavorativa in grado di fornire loro denaro proprio.

La paghetta può consistere in una somma di denaro molto variabile anche a seconda del volere dei genitori e della disponibilità economica della famiglia, e in genere viene riconosciuta ogni settimana per consentire ai figli che crescono di avere una loro indipendenza.

Ma il figlio può pretendere una paghetta?

Ovvero: il figlio può ritenere che la paghetta sia un suo diritto e che di conseguenza i genitori siano obbligati a corrispondergliela?

Partiamo dalla legge: sappiamo che il codice civile sancisce che i genitori hanno dovere di mantenere i figli, curandone i bisogni materiali e non solo finché non siano indipendenti. Quest’obbligo vale in tutte le famiglie e non cessa perché c’è stato un divorzio o una separazione.

Da un punto di vista giuridico, c’è stata giurisprudenza che si è pronunciata a riguardo ed ha sancito che vi sia un vero e proprio dovere di paghetta in capo ai genitori, ovvero che il mantenimento verso i figli si esplichi anche in questa corresponsione di denaro periodica a favore dei figli.

In un caso a Pordenone un figlio (adulto, e fuori corso all’università) aveva citato il padre che aveva tagliato la paghetta da 500 euro al mese a soli 20 euro… e il giudice gli ha dato ragione.

In linea di massima, i genitori devono supportare i figli, tenendo conto anche delle loro capacità economiche e dal numero di figli, consentendogli di essere più indipendenti possibile finché non trovano una loro occupazione.

Ovviamente, questo non significa che il figlio vada mantenuto in eterno: tuttavia, non significa neppure che allo scoccare dei 18 anni la paghetta possa essere requisita.

Infatti c’è ampia giurisprudenza in materia che sancisce che il genitore è comunque dovuto al minimo mantenimento del figlio, per cui possiamo dire che di base esiste un obbligo di paghetta, non sempre commisurato a livello economico (non è necessario pagare il figlio o rifornirlo di una carta di credito: è sufficiente però fare in modo che non gli manchi quanto necessario per vivere e studiare).

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    Elisa
    Dott.ssa Elisa Ceccarelli, laureata presso la facoltà di Giurisprudenza di Roma 3 con tesi in diritto processuale civile titolata “Il rapporto tra mediazione e arbitrato nell’impugnazione delle delibere assembleari di condominio”. Dal 2014 è amministratore condominiale ANACI. Scrive per diverse riviste online di diritto, occupandosi in particolare di diritto di famiglia e diritto condominiale.

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